testimonianza riflessione
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Fidarsi: verbo intransitivo. avere fede/fiducia in qualcuno o in
qualcosa
af-fidarsi: verbo transitivo. dare in custodia a qualcuno di
fiducia. mettersi con fiducia nelle mani di qualcuno.
Fidarsi e
successivamente affidarsi è davvero difficile, soprattutto quando lo si
è già fatto e, in tutta risposta, si è ricevuto una grande delusione.
In questo male si tenta continuamente di attuare un controllo e spesso
ci si illude di averlo attraverso i sintomi e i rituali che si
instaurano giorno per giorno.
Pensare di fidarsi di qualcuno fuori da
noi tanto da affidare la propria vita nelle sue "mani" andando contro a
quello che la malattia ci ordina come un dictat assoluto, è davvero
complesso. Si ha sempre l'impressione che l'altro voglia farci del male,
che desideri, per qualche suo motivo, "fregarci". Uscire da quei riti,
quegli schemi tanto amati/odiati sembra tanto assurdo quanto
impossibile. Il primo vero ostacolo di un percorso di cura è proprio
questo: l'affidarsi alla cura stessa che si è scelta.
ChiaraSole
Giusy: Negli anni più bui ho sempre pensato che guarire
significava trovare la “mia giusta dieta” riducendo tutto il problema al
cibo che ero assolutamente in grado di “affrontare da sola”, sicuramente
perché dentro di me ero convinta che mai sarei riuscita ad uscire
definitivamente da quel tunnel..
Con il tempo ho capito che
questo era il pensiero “più comodo” che io potessi trovare per non
lottare realmente contro questa subdola malattia.
Sono andata per
ben 5 anni da 3 terapeuti diversi spinta dalla mia famiglia ricercando
sempre problemi e quindi trovando conferma alla mia teoria che per me
nulla sarebbe mai cambiato..
Aldilà del fatto che fosse realmente
possibile che non era il posto giusto (poiché ogni persona deve trovare
il suo personale percorso) ma soprattutto non era il momento giusto
perché io in primis non ci credevo..
Delegavo la mia guarigione
all’altro chiedendo teoricamente un manuale per il quale sarei potuta
guarire cosi sarebbe stato più semplice poi incolparli per i miei sicuri
insuccessi e quindi confermare nuovamente la mia teoria..
E’ vero
che si è stanchi del dolore, la passività, la frustrazione, l’
inadeguatezza e tante altre sensazioni dolorose che comporta questa
malattia ma è altrettanto vero che è l’unica cosa che conosciamo
bene..Non possiamo sapere quello che ci è mancato prima che
arrivi..Ricordo bene il mio primo periodo a MondoSole (l’unico percorso
che finalmente avevo autonomamente scelto di affrontare) elogiavo valori
come libertà di parola, libertà di scelta etc solo perché avevo appena
preso la mia prima decisione importante: frequentare l’università, o
solo perché vivevo da sola già da tanti anni e perché per me
apparentemente conducevo la “mia vita” aldilà della malattia..bene in
quei primi mesi iniziai a capire che non esisteva un aldilà della
malattia, che io non ero in grado di assumermi alcuna libertà di scelta
e che non controllavo niente ma era la malattia che controllava me..Era
lei che decideva per me se quel giorno “potevo permettermi” di uscire
anche se avevo ingerito qualcosa, era lei che controllava e mi
anestetizzava da tutte le sensazioni belle o brutte. In realtà io stavo
vivendo passivamente lasciandomi trasportare da paure e dolore....E’
stato difficile fidarsi ed affidarsi a persone all’inizio sconosciute ma
nelle quali leggevo negli occhi una luce di speranza..All’inizio
affidarsi completamente provando a non ascoltare quei maledetti
meccanismi malati che ormai erano intrisechi in me, sconvolgendo
completamente gli schemi che negli anni si erano radicati diventando un
abitudine, staccando la mente ed imparando ad ascoltare un altro tipo di
linguaggio e comunicazione e poi nel tempo continuare a fidarmi sebbene
molte volte era più semplice scappare o incolpare chi avevo di fronte,
dimenticando che dall’altra parte c’erano persone che sicuramente erano
più lucide e che tenevano molto di più loro a me che io a me stessa..
Tante volte ho detestato coloro che secondo me “non mi capivano”
semplicemente perché mi dicevano parole che le mie orecchie non volevano
sentire e la mia testa non voleva accettare..La verità faceva troppo
male, troppo dolore sentivo dietro quelle frasi ma del resto altrettanta
era la disperazione che provavo nelle giornate intente a vomitare o a
restringere..Quella verità dolorosa almeno aveva un carattere
costruttivo, seppur con difficoltà. So bene quanto sia difficile
fermarsi e provare a sentire quella sofferenza che per anni si
anestetizza con il sintomo ma oggi so altrettanto quanto vale la pena
affrontare tutto per poi avere veramente la libertà di vivere. E’ stato
importante con il mio lavoro terapeutico affrontare e successivamente
metabolizzare le mie dinamiche ,seppur con difficoltà,accogliendo le
sensazioni che ne venivano fuori capendo poi che più una situazione mi
spaventava più la dovevo affrontare per poi poterla superare.. Non
sempre durante il percorso la motivazione rimaneva forte e costante ma
osservare davanti a me persone che ce l’avevano fatta era uno sprono
continuo. Con il tempo i ricordi più difficili e dolorosi che mai avrei
creduto di poter far fronte si sono man mano affievoliti rimanendo
comunque momenti infelici del passato ma senza più quel frustrante
dolore e soprattutto senza più alcun potere distruttivo nel mio presente
e futuro.
Ho imparato che guarire non significa vivere sempre
felici e contenti perché anche questo sarebbe fittizio ma far propri
degli strumenti che ci permettono di affrontare la vita con le gioie,
dolori ,delusioni, soddisfazioni che essa comporta.. insomma la vita
reale.
Giusy
I disturbi alimentari (anoressia, bulimia, binge eating, ecc.) sono patologie incredibilmente dolorose. Il sintomo evidente riguarda sempre il cibo e il corpo, ma è necessario ricordare che si tratta di un male molto profondo, per questo è importante andare oltre alla superficie sintomatica. I sintomi alimentari comunicano emozioni, dolore e sono la manifestazione di un disagio storico spesso incomprensibile anche per chi lo vive. I sintomi alimentari diventano, paradossalmente, una sorta di rifugio inconsapevole dalla realtà che ha fatto e fa male. Il corpo e il cibo come oggetti che ci si illude di poter controllare. spesso si ritiene che l’unico problema di chi soffre di queste patologie sia proprio quello del corpo, ciò che trae in inganno è proprio il termine DIMAGRIRE. Sul corpo ogni persona materializza il dolore interiore e in questo modo cerca di “dimagrire” proprio quel dolore che in quel momento non ha un nome. I pensieri riguardanti corpo, cibo e i relativi sensi di colpa, imprigionano mente e cuore di chi soffre di questi mali. Chiedere aiuto è il modo per comprenderne a pieno il significato storico e presente.