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SE NON LO AFFRONTI, IL PASSATO TI SEGUE
La
riscoperta del viaggio come PIACERE e INCONTRO CON L'ALTRO
Da
vocabolario italiano, la parola “viaggio” è definita come lo spostamento
di persona o cose da un luogo all'altro; questo può essere perpetuato in
senso fisico, per motivazioni turistiche, professionali, personali
oppure in senso metaforico, come fonte di ricerca interiore o di ricerca
del desiderio.
Ebbene, in nessuna di queste accezioni ritroviamo il
concetto di viaggio verso una nuova
destinazione, una città ad
esempio, come via di fuga dalle problematiche che ci affliggono.
In
senso metaforico, infatti, il significato di ricerca interiore e ricerca
del desiderio entra in
contrasto con tutto ciò che in questo
spostamento fisico, noi cerchiamo e speriamo di trovare; l'anoressia, la
bulimia, il binge, sono malattie in forte conflitto col DESIDERIO.
Desiderio verso il cibo, nei confronti di una persona, dell'Altro
(amato/odiato), desiderio sessuale, “desideri” emotivi, desiderio al
gusto, al tatto, desiderio visivo, uditivo... nulla di tutto ciò deve
manifestarsi; nessun rossore sul volto, nessuna emozione deve
attraversarci. Non potrebbe essere tollerata. Solo se fossero
compulsive, un desiderio, un'emozione, potrebbero essere “sopportate”,
proprio come il cibo, divorato, in fretta, ingozzato, durante
l'”abbuffata”... non ha sapore, non se ne sente il gusto. Il desiderio
ed il piacere non stanno nell'assaporarlo, ma alimentano una dipendenza,
dietro la quale si nascondono motivazioni profonde. Non si è in grado
d'accogliere il desiderio senza anestesie con queste malattie.
Per
cui, già soltanto a rigore di logica, se non si vuole proseguire oltre
il ragionamento, si potrebbe comprendere come queste due strade non
possano che essere divergenti tra loro, essendo la prima alla ricerca di
un desiderio che le seconde, in ogni forma e con ogni mezzo (sintomo)
cercano di sopprimere, soffocare, negare, a se stesse, per se stesse e
agli altri.
Trasferirsi in un'altra città, per ragioni che esulano da
quelle curative e terapeutiche, non è altro che una fuga, uno scappare
da dolori, sofferenze, frustrazioni, dinamiche, traumi, situazioni che
crediamo di poter cancellare. Crediamo che un semplice allontanamento
fisico dal luogo che riteniamo averli generati, possa farci ritrovare la
serenità.
Ma non è e non sarà così. Ce li portiamo dietro. Il nostro
passato ci segue ovunque andremo. I nostri dolori, le nostre paure, le
nostre ansie, i nostri traumi, le nostre sofferenze, le nostre
ossessioni, non ci abbandoneranno mai, qualsiasi sia il pianeta che
abiteremo.
Un viaggio, un trasferimento di città, o un qualsiasi
cambiamento, comportano apertura verso l'esterno e verso l'Altro,
imprevedibilità, il confronto, la conoscenza, la scoperta, il piacere,
l'accoglienza delle emozioni. Ma siete proprio sicuri che, se non
supportati da un adeguato sostegno terapeutico, non sarà tutto uguale a
prima o forse anche peggio?
Non è forse vero che queste malattie non
tollerano l'imprevisto? Tutto deve rimanere com'è, nulla deve cambiare.
Da un lato e per certi aspetti, una sorta d'immobilismo. Per altri
aspetti, come il peso, il corpo, e non solo, il “tutto e subito”. La
solita contraddizione insita nella nostra malattia.
Ogni giorno gli
stessi schemi, precisi, rigorosi, ossessivi, maniacali, quasi alla Jack
Nicholson in “Qualcosa è cambiato”... perchè, da soli, senza un aiuto
terapeutico, dovrebbero svanire nel nulla?
Solo per il fatto che
cambia il luogo? Banale, non trovate? Di certo c'è che ce la
“raccontiamo” proprio bene...
E ancora.. l'Altro non è forse
“strumentalizzato” in base alle nostre esigenze malate? O non accolto,
rifiutato, rigettato, come il cibo? Non può entrare se non entro certi
limiti. L'Altro non è accoglibile perchè ritenuto pericoloso, invasivo,
traumatico, desiderabile, perverso, edipico: ognuno ha le sue personali
motivazioni da ricercare e scoprire per riuscire, poi, finalmente a far
entrare l'Altro.
Non ci può essere confronto, scoperta, conoscenza,
piacere. Il Piacere per noi è una minaccia, come il cibo d'altronde.
Dunque, come potremmo pensare che ci possa “piacere” VIVERE in un altra
città? In fondo si tratta sempre di vivere, o meglio di come stiamo
cercando di SOPRAVvivere, giusto? ...
Tutto è concentrato e
indirizzato verso un unico e solo catalizzatore che permette di non
farci sentire tutto ciò che c'è dietro: CIBO, PESO, CORPO, BILANCIA,
GRASSO, MAGRO, SPECCHIO....
Prima di arrivare a MondoSole, pensavo
anch'io che “cambiare” città e andare lontano da Napoli, rappresentasse
la soluzione ai miei problemi.
Per quanto bella e calorosa come
metropoli, ai miei occhi rappresentava tutto il male che avevo vissuto,
subito e che mi portavo dentro; che si manifestava attraverso i sintomi.
Ingenuamente pensavo che lasciando Napoli, lasciavo dietro di me anche
le mie sofferenze e la mia malattia.
Speravo che tutto sparisse, che
di colpo, binge, anoressia, bulimia e cutter diventassero solo un brutto
ricordo.
Naturalmente non è stato così. Sono trascorsi tre anni di
puro massacro sintomatico, anche per l'intermittenza ed il mediocre
sostegno terapeutico. Ero sola nelle mie paure, nelle mie ossessioni,
nei miei schemi che si facevano sempre più rigidi e la malattia
controllava tutta la mia vita.
Negli ultimi mesi dei tre anni di vita
pistoiese sono nuovamente “fuggita” dalla città che avevo scelto. Per
rifugiarmi in un “luogo non reale”, in un luogo virtuale.
Internet,
infatti, era diventato la mia città, la mia vita, il mio mondo. Un mondo
dove non bisognava confrontarsi, condividere, nel quale non dovevi
incontrare l'Altro, nel quale potevi indossare infinite “maschere”,
potevi descrivere a te stessa e agli altri quello che volevi, potevi
nasconderti e nasconderti agli altri.
“My Life” era il nome del mio
computer. Un nome che dice tutto. Avevo delegato la mia vita ad una
macchina, tra un'abbuffata e l'altra, tra un sintomo e l'altro.
Da
Napoli a Pistoia a Internet... una fuga continua, costante, in cui ero
sempre più sola, senza aiuti terapeutici, ma sempre più dipendente da
cibo, ossessioni, schemi...ed ora anche dal web. Un mondo pericoloso se
vissuto come totalitario, come dipendenza e non come strumento
lavorativo e di ricerca d'informazioni, qual è diventato oggi, grazie ad
un percorso di cura. Ho capito che, senza un adeguato percorso di cura
nel quale investire tutte le mie energie e senza l'aiuto di persone
specializzate in grado di potermi aiutare, a cui dare piena fiducia, a
cui affidarmi, vagherei ancora di città i città. Insomma sarei una
nomade tuttora.
Finalmente oggi, dopo tanto lavoro interiore,
terapeutico, potrei fare un viaggio per il semplice PIACERE di conoscere
qualcosa di nuovo, di diverso, d'imprevisto, con la massima apertura
verso l'esterno, verso l'Altro, confrontandomi, ascoltando,
comprendendo, immedesimandomi, accogliendo e vivendo nuove emozioni,
scoprendo, senza bisogno di fuggire dal passato, da un passato
rielaborato, metabolizzato, interiorizzato, senza bisogno di
nascondermi, di indossare “maschere”.
Il viaggio può essere ovunque,
ogni giorno, in ogni piccolo posto, dietro l'angolo della strada, in
ogni incontro, in ogni e per ogni conoscenza.
Valentina
DCA
I
disturbi alimentari (anoressia, bulimia, binge eating, ecc.) sono patologie incredibilmente dolorose. Il sintomo evidente riguarda sempre il cibo e il corpo, ma è necessario ricordare che si tratta di un male molto profondo, per questo è importante andare oltre alla superficie sintomatica. I sintomi alimentari comunicano emozioni, dolore e sono la manifestazione di un disagio storico spesso incomprensibile anche per chi lo vive. I sintomi alimentari diventano, paradossalmente, una sorta di rifugio inconsapevole dalla realtà che ha fatto e fa male. Il corpo e il cibo come oggetti che ci si illude di poter controllare. spesso si ritiene che l’unico problema di chi soffre di queste patologie sia proprio quello del corpo, ciò che trae in inganno è proprio il termine DIMAGRIRE. Sul corpo ogni persona materializza il dolore interiore e in questo modo cerca di “dimagrire” proprio quel dolore che in quel momento non ha un nome. I pensieri riguardanti corpo, cibo e i relativi sensi di colpa, imprigionano mente e cuore di chi soffre di questi mali. Chiedere aiuto è il modo per comprenderne a pieno il significato storico e presente.
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