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cutter

autolesionismo

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Cutter

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cutter autolesionismo 

Cutter, alzi la mano chi sa cos'è?

Cutter deriva dal verbo inglese TO CUT e significa tagliare. Il cutter è una forma di autolesionismo che si manifesta attraverso tagli autoindotti sul corpo, ma in realtà non “solo” quelli. Diciamo che con cutter si possono racchiudere tutte quelle manifestazioni di autolesionismo contro se stessi: focalizzare l’attenzione su una porzione del proprio corpo fino a farla sanguinare o, comunque, fino a farsi del male. Questo può avvenire in svariate forme ad esempio con delle pinzette accanendosi contro qualche pelo incarnito o presunto tale, fino a farsi sanguinare in modo importante, oppure, contro a brufoli oggettivamente inesistenti ci si possono creare reali cicatrici. Il cutter viene praticato sia a mani nude che con vari strumenti da lamette, taglierini, unghie, coltelli, forbici, ecc.
Si tratta di una problematica che esiste da sempre, ma solamente da poco è stata battezzata con questo nome. La compulsione può essere talmente forte e cieca che può portare la persona a mettere seriamente a rischio la propria vita.

Di seguito parte di uno scritto tratto da un articolo a cura del Dott. Matteo Mugnani
“Cosa succede dunque, ci chiedevamo? Cosa spiega questo fenomeno, che dunque non è in verità nuovo, ma è solo una nuova forma di espressione e di tentativo di trattamento del disagio umano?
Basta ascoltare le parole di chi ci descrive queste sue pratiche, per capirne di più, ascoltare quali pensieri, fobie, ossessioni generano queste spinte inarrestabili ad agire così sul proprio corpo. Ce ne parlano come di pratiche di estrazione dal corpo di un'impurità, di un qualcosa di illecito, di non casto, ce lo illustrano come una vera autopunizione perchè nel corpo, dentro al corpo, sentono che c'è qualcosa che non dovrebbe esserci, che loro non vogliono più avvertire. (…)Si propone dunque una scissione tra ciò che è interno al soggetto e al suo corpo, che dovrebbe essere a tutti i costi puro e buono, e ciò che è esterno, nel mondo attorno a lui, sui cui vengono proiettati il male, l'impurità, la perversione. E il corpo e la pelle come suo ultimo avamposto, come linea di confine, sono vissuti come la barriera che separa il bene dal male, il puro interiore dall'impuro esterno. Ma se l'impuro abita all'interno del soggetto, se il desiderio che muove la vita del soggetto è avvertito come un'ospite insopportabile, come una forma di impurità interna, allora ecco che il soggetto si convince in modo illusorio di poter "materializzare" questa sua parte impura, di poterla "sostanzializzare" ad esempio nel sangue che esce dalle ferite autoindotte, o di punire questa parte con le pratiche masochistiche. Ma il progetto fallisce perchè s'imbatte nella verità ultima della natura umana, che come hanno dimostrato le teorie freudiane, è una natura in parte anche perversa, in cui l'illusione di poter espellere da sé e dal proprio corpo questa dimensione vissuta come impura, può essere superata solo passando per un'altra via, più stretta, che punta invece ad un riconoscimento e ad una accettazione di questa dimensione perversa, emanazione della pulsione di morte, che abita la natura umana.”

Nel mio libro accenno ad alcuni episodi di cutter con forbici, unghie, mani e non solo.
36) TESTA O CROCE
Quello che accomuna molte delle ragazze che stanno vivendo questo tipo di problemi, oltre ovviamente al rigettare ogni sostanza nutritiva, è il martoriarsi fisicamente.
Ho ancora ricordi freschi delle torture volontarie alle quali Chiara si sottoponeva, nonostante tutti i miei tentativi di impedirle simili barbarie su se stessa.
Lei, posseduta dallo stolto demone distruttore, sentiva le mie parole come provenienti da eco lontane, troppo flebili per essere ascoltate e percepite con decisione.
Si mangiava le unghie.
Già, ma non come qualsiasi adolescente con quel vizio dettato da un po’ di insicurezza o nervosismo.
Si mangiava le unghie, e con abili contorsioni, anche quelle dei piedi, ma lo faceva andando fino in fondo e causandosi terribili infezioni.
Sapeva che non doveva, eppure continuava e neppure il dolore la frenava. Neppure l’uscita di tutto quel sangue. Anzi, quasi la eccitava. Quasi la faceva godere in un amplesso masochistico con sé stessa, con il suo dolore, con la sua voglia di mortificarsi.
Allo stesso modo, con la stessa tenacia, arrivava a mordersi la carne dei talloni, delle dita, fin quando il vivo della pelle, gridando bruciore accecante, non la risvegliava da quel torpore innaturale. Allora si abbandonava al pianto più sconfortato, e mani sanguinolente e piedi che le avrebbero fatto male ad ogni passo si rannicchiavano attorno al suo corpo, e soffrivano assieme a lei.
Tuttora, guardandole le mani, è possibile riconoscere alcune altre piccole cicatrici; sì, proprio lì, vicino al tatuaggio a forma di sole che fa’ bella mostra di sé sul suo polso. Quale posto migliore, se non ci sono portacenere nei paraggi, in cui spegnere le sigarette?
Erano vere e proprie torture, delle quali potrei parlarvi a lungo, dai pugni contro le pareti, o contro tutto ciò che era solido (procurandosi anche una frattura), ma è giunto il momento di rendervi partecipi di quella volta in cui, per propria volontà, scelse di farla finita.

ChiaraSole Ciavatta

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Quando si parla di #trauma spesso si fa una grande confusione poiché si è influenzati dai messaggi socio-culturali, da tutti precocemente introiettati, che diventano gli occhiali con cui si legge e interpreta la #realtà. Esiste infatti un #pregiudizio socio-culturale estremamente diffuso, e che interessa anche chi soffre, che considera traumatici solo specifici eventi, valutati socialmente più dolorosi e forieri di conseguenze negative. Tale pregiudizio finisce per stabilire una classifica di ciò che genera #malessere indicando quali sono le situazioni per cui è lecito e giustificabile #soffrire con il duplice rischio che chi non trova nella propria storia di #vita un evento considerato valido per star male finisce per sminuire la portata traumatica del suo #vissuto, al contrario chi rintraccia nella propria storia un evento considerato socialmente #traumatico finisce per ricondurre la propria #sofferenza esclusivamente a quello. Da un punto di vista clinico il trauma non è definito dall’evento specifico, ma dal vissuto emotivo rispetto all’evento, dall’impatto che quell’esperienza ha sull’individuo. Ciò che fa trauma è infatti un’esperienza in cui il soggetto si è sentito sopraffatto dalla situazione, si è sentito #impotente e non è riuscito a #difendersi e a reagire psichicamente e/o, soprattutto nell’#infanzia, non ha ricevuto #sostegno emotivo e #riconoscimento da parte degli adulti di riferimento. Ciò che fa la differenza tra un trauma e un non trauma non è dunque la specificità della situazione ma la possibilità di affrontarla e superarla. Non esistono traumi di serie A e traumi di serie B, non esiste una lista di traumi prestabilita; solo dandosi la possibilità di analizzare e #comprendere la propria sofferenza ciascuno può capire cosa nella propria storia è stato traumatico. Roberta Calvi #sipuoguarire #sipuòguarire #vietatoarrendersi #respira ✔@chiarasolems ✔MondoSole http://www.chiarasole.it ✔ pagina FaceBook https://www.facebook.com/AssociazioneMondoSoleAnoressiaBulimiaBinge ✔ Tag. #credercisempre #arrendersimai #lottadca #famedivita #doloreinvisibile #psicologia #binge #anoressia #bulimia #MondoSole #chiarasole

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