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Il mio percorso di guarigione

testimonianza e riflessione

Via Sigismondo Pandolfo Malatesta, 38 47921
Rimini, Emilia Romagna, Italy
+39 0541 718283
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e appuntamenti
dal Lunedì al Venerdì
dalle 10.00 alle 13.00

Il mio percorso... Francesca

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DCA: il mio percorso di guarigione. Riflessione e testimonianzala mia morte, la mia vita... LA MIA RICCHEZZA CONSAPEVOLE!!!

Ciao a tutti
Oggi voglio usare il mio tempo per raccontare di me, ma non della mia malattia, non della mia storia malata.
Della mia vita da quando sono entrata a MondoSole.
Questo perchè sento necessario il bisogno di condividere quella che è la strada verso la guarigione, in mezzo a tanti post carichi di dolore.
Il dolore, innanzitutto. Il dolore che non si perde nei ricordi, che non è mai qualcosa di distante, ma è un elemento che è stato capace di donarmi morte, e vita.
Premetto che mi sono sempre affidata ad esperti dei disturbi comportamentali, ma non dando loro completa fiducia.
Nel 2004 leggo la storia di ChiaraSole su Internet, e decido di scriverle. Scrivo a lei, scrivo al Dott. Mugnani. Mi rispondono e sono estasiata dall'attenzione che ricevo: per la prima volta nella mia vita mi sento COMPRESA. Ma sono scettica.

Passano anni, e nel 2008 mi ritrovo ad essere separata, con una bambina meravigliosa di 6 anni, con un sintomo che dopo un breve periodo di respiro è di nuovo (soffrivo di bulimia già da 17 anni) giornaliero. Soffocante. Sento un LATRATO di dolore dentro di me ogni volta che guardo mia figlia, perchè le sto dando una madre che è un involucro di rabbia, paura, dolore, cibo,cibo,cibo, e ancora paura.
Io stessa mi faccio paura.

Vado da ChiaraSole, e sento subito il desiderio di mettermi in gioco. Di entrare a MondoSole. Il suo abbraccio di accoglienza mi scioglie da ogni dubbio.
Inizia la cura, ma continua la distruzione. Vivo una vita doppia.
Il mio percorso è particolare, perchè avendo una bimba posso andare a Rimini solo 3 giorni alla settimana, e se da un lato invidio le ragazze che possono fermarsi, dall'altro continuo a cullarmi nella malattia.
A Ferrara continuo ad essere un essere umano che in modo automatico porta avanti la vita tra lavoro, giochi con la figlia, cibo, cibo...e ancora cibo, e sempre e ancora vomito. A Rimini, a MondoSole, lavoro su me stessa, ma non riesco a staccarmi dal pensiero di tornare a casa, e dall'amore per l'unica cosa che desse un senso a me stessa: la bulimia.
Si parla poco di quanto davvero si ami il proprio sintomo. Io lo amavo, perchè in esso mi identificavo. Come nella sindrome di Stoccolma la vittima si innamora del carnefice che la tortura, io restavo aggrappata alla malattia perchè non vedevo altro in me.

MA. C'è Chiara. C'è il gruppo. E il percorso continua, e con fatica, con rabbia talvolta, recupero mattoncini di me che avevo perso nel passato. Riesco di nuovo a parlare coi miei genitori, e ad accettarli per quello che sono. A ringraziarli, soprattutto, per avermi dato la possibilità di curarmi. Non è facile da genitore, chinare il capo e riconoscere che oltre certi limiti il proprio aiuto può diventare deleterio. I miei l'hanno capito, e sono grata di questo.

A Rimini conosco un'altra realtà: la condivisione. Dove tutto prima era MIO (mio dolore, mio cibo, mia vita) ora tutto diventa NOSTRO. Supero la diffidenza iniziale verso chi come me condivide una malattia e arrivo lentamente a capire che con queste persone posso condividere una guarigione. Davanti a me ci sono ragazze ad un buon punto del percorso. Altre che vengono solo per REGALARE la loro guarigione, e guardarle è un toccasana. Anche io posso. Comincio a crederci. Mi affeziono a tante persone stupende. Alcune non resistono, vanno via. Altre restano e sono ancora qui, a tenermi per mano, e io a tener per mano loro. Reciprocità.

Lentamente allora mi sono riappropriata del cibo, del corpo, del desiderio di vivere non solo per mia figlia, ma per me.
Ricordo una cena con amiche, a Ferrara. Ceniamo a buffet. Situazione devastante per me. Mangio, sono agitata ma mangio, e mi nutro. Torno a casa e sento il desiderio di vomitare, poi rifletto: le donne intorno a me mangiavano come me, e nessuna ora starà vomitando. Posso provare, oggi, a non farlo? ci ho provato. Per arrivare a quel punto avevo già lavorato tanto su di me. Non è stato un miracolo, ma è stato una delle tante prove che lentamente mi hanno portata prima a nutrirmi, poi a mangiare, e ora a farlo con gusto.

Quanto affiora durante un percorso! Ogni piccola parte di sè ha bisogno di essere presa in mano, guardata, riconosciuta, carezzata, e poi, solo POI...SENTITA. Difficile provare emozioni. Per anni il cibo ha coperto tutto. Non sapevo esprimermi.
Ora sto imparando giorno dopo giorno a PARLARE. Ogni sfera della mia vita è in evoluzione. E' incredibile vedere come, quando il sintomo non è più attivo, affiori tanto. E' questa forse la più grande delle paure che fa restare attaccati alla malattia per anni: si sa, si sente, che c'è tanto "non detto", e si ha paura di sè, del giudizio degli altri...ma parlare, Diomio, parlare è un passo che ogni giorno, in terapia, in gruppo, nella vita, mi sta aiutando incredibilmente.

Affidarsi significa usare tutti gli strumenti a disposizione.
Il gruppo, la terapia, la condivisione dei pasti, dei momenti insieme, la cena fuori, la parola. L'emozione.
Questo post per me ha un valore. Il valore del riconoscere a me stessa che tanto ho fatto, ma tanto ho ancora da fare.
La mia vita è appena iniziata. Nei primi tempi l'ho rimirata molto soddisfatta di me, ora devo alzarmi e costruirmi una vita REALE. Un lavoro, una relazione, una rete di amicizie. Sono passi giganti che voglio riuscire ad affrontare come mi è stato insegnato: con consapevolezza.

Un abbraccio a chi avrà avuto voglia di leggere.

Francesca

 

 

 

Riflessione ideale anoressico

Un post condiviso da ChiaraSole Ciavatta (@chiarasolems) in data:

 

Si è portati a pensare che l’anoressia sia solo restrizione assoluta alimentare.
Così come si pensa che una persona ammalata di anoressia sia solo una persona di pochi chilogrammi.
A me sembra decisamente riduttivo!
E’ vero che molte persone arrivano a pesare pochi chili, ma quelle stesse persone quando hanno cominciato a variare la loro alimentazione pesavano diversamente e non erano forse comunque anoressiche?
Il vocabolario descrive l’anoressia mentale come sindrome nevrotica caratterizzata dal rifiuto sistematico del cibo e questa è l’idea comune delle persone, ma assolutamente riduttiva e incompleta del dramma che si vive.
L’anoressia è una forma mentis.
Quando io ero anoressica ho vissuto brevi periodi di digiuno. Ricordo le mie giornate profondamente ossessive. Ogni cosa aveva orari. Il mio ideale di perfezione era assolutamente surreale. A scuola dovevo avere tutti 11: un 9 era un fallimento.
I cibi erano accuratamente selezionati. Gli affetti dovevano essere controllati. Ogni cosa doveva essere sotto il mio controllo e se non lo era vivevo frustrazioni dolorose. Non sentivo la stanchezza grazie all’iperattività e ai nervi anoressici che mi tenevano su in una forma di euforia onnipotente.
Se qualcuno mi diceva che qualcosa non andava io non gli davo retta, io sapevo cosa dovevo fare.
Io ero anoressica in tutto, in tutte le sfere della vita.
Avevo grandi problemi relazionali con le compagne di scuola.

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