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ho cercato di mangiare il mio dolore e mi sto saziando con la vita

testimonianza e riflessione di Valentina G.

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Il vuoto, la solitune e la fame

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il vuoto, la solitudine e la fame di chi soffre di disturbi alimentari Valentina G.: ho cercato di mangiare il mio dolore e mi sto saziando con la vita

Valentina G. ho cercato di mangiare il mio dolore e mi sto saziando con la vita
Sono Valentina e sono originaria di Milano.
Vuoto e solitudine sono le parole che più hanno accompagnato la mia vita e il mio vocabolario da che io abbia memoria. Il cibo è sempre stato qualcosa che mi riempisse, colmasse il vuoto, mi sfamasse, anche se la mia fame non voleva cibo, ma altro… Ho ingoiato dolci e tutto quello che trovavo, ma avrei voluto un bacio, un abbraccio, una carezza per non sentire quel vuoto, per non sentirmi sola, anche se sola non ero… Io piccolo esserino fragile e sensibile da bambina, mi sono travestita da donna forte e coraggiosa da grande, in realtà dentro mi sono sempre sentita quella bimba indifesa bisognosa di essere protetta.
Già dalle elementari il cibo non mi bastava e spesso mi arrampicavo di nascosto sul tavolo della cucina per rubare le merendine dalla dispensa. Intorno ai 14 anni poi mi imposi una dieta rigidissima nel tentativo di tenere "sotto controllo" il mio corpo che cambiava... E fu l'inizio del tunnel!
Gli anni delle superiori li ricordo come un buco nero di sofferenza... mi sentivo protetta e a mio agio solo fra le pareti domestiche. Giorni di restrizione alimentare si alternavano ad abbuffate compulsive, tante ossessioni, tantissimo studio, tanti pianti e isolamento, tanti ragazzi in testa, storielle, nessun grande amore...uscivo spesso con mia mamma, in vacanza andavo con i miei genitori, e intanto facevo viaggi studio all’estero perché qualcosa premeva affinché me ne andassi via. Così dopo la maturità mi trasferì a Londra. Amici e parenti guardarono alla mia scelta come grande atto di coraggio e forza, in realtà fu un puro tentativo di fuga da me stessa.
Lì vissi la prima esperienza infernale: continui attacchi di compulsione feroce, mai provata prima, un violento bisogno di cibo, che devi fare tuo e poi trattenere dentro: il Binge. In due mesi presi oltre 20kg…Furono momenti di vera solitudine, in cui il cibo mi sfamava, mi teneva compagnia, mi consolava ed rappresentava l'unica fonte di piacere, nonostante i forti sensi di colpa. Dopo quasi un anno tornai a casa sfinita, ma non dissi niente a nessuno, anche per il peso di dover soddisfare delle aspettative di perfezione, di non dover mai fallire, non dare ulteriori problemi in famiglia.
Negli anni successivi il dolore ha trovato poi la sua forma nella Bulimia... E io vivendo con la valigia sempre pronta per partire, per provare a trovarmi e intanto allontanarmi sempre più dal mio male interiore, per mettere delle distanze geografiche fra me e questa malattia che intanto mi divorava. Ho fatto esperienze emotivamente forti per darmi prova che la mia non fosse vera sofferenza, che non avessi motivo né diritto di stare male, anche se il dolore cresceva dentro di me e si preparava a diventare un vuoto incolmabile. Il cibo é stato in tutti questi anni un rifugio, un potente anestetico per la mancanza di una mia identità, annullando il tempo, riempiendo occhi, bocca e pancia fino a stare male... Quando ero lontana però i sintomi si facevano sempre più feroci di quando stavo a casa. Questo, ho capito poi, che rappresentava la mia volontà di strappare il cordone ombelicale materno e da altre dinamiche malate. Ma era talmente doloroso e faticoso, che preferivo tornare nel nido familiare, che ritenevo mi avesse comunque difeso dal tanto temuto mondo esterno e che non riuscivo ad affrontare lontana dalle mie certezze sintomatiche.
Negli anni dell'università cercai di costruirmi una vita sentimentale al fianco di un ragazzo di cui ero innamorata, ma fu una delle mie più forti dipendenze e anestesie. La fusione fu totale perché ci legava un filo malato. Ci eravamo riconosciuti nella sofferenza di anime sole, che insieme pensavano di poter trovare la forza per affrontare il mondo. Ma dopo cinque tormentati anni di continui conflitti, riuscì a mettere fine a questa storia fatta di amore, passione e dolore. Ma proprio questa rottura mi gettò nella disperazione totale, facendomi comprendere che avevo bisogno di aiuto.
E il destino aveva voluto portarmi a vivere a Rimini, proprio di fianco alla sede di MondoSole, dove entrai spaventata, in punta di piedi. Ma ad accogliermi c'era un luogo pieno di luce, calore e ragazze come me.
Lungo il percorso ho dovuto affrontare tutte le mie paure, accogliere la rabbia, oppormi alle resistenze e sentire la sofferenza che i sintomi avevano cercato di mettere a tacere, per capire quali dinamiche mi avessero accompagnata lungo la crescita e perché mi fossi rifugiata in rapporti di dipendenza, odio e amore, rifiuto e abuso, fatti di troppo o niente con cibo, ragazzi, sesso, sport, studio, alcool, lavoro e amicizie e ho avuto bisogno di sintomi, ossessioni, barriere, ordine, schemi… Ho toccato limbi di non-vita e apatia senza accorgermene, picchi depressivi, di buio dove speri solo che tutto finisca, passando per eccessi di alcool e sballo, stati di euforia totale, tutto nel tentativo di anestetizzarmi, di non sentire il dolore che spingeva dal profondo!
Ma ora so perché: io avevo fame di essere voluta, desiderata, scelta ed é una fame vorace che non é mai sazia, perché né il cibo, né qualsiasi altro oggetto, avrebbe mai potuto soddisfare quel bisogno così arcano, che aveva radici lontane nella mia storia, e che ho dovuto riconoscere e capire per legittimare il mio dolore e trovare la forza dentro di me per essere oggi una donna in cammino verso la propria libertà.
Oggi, grazie al percorso di crescita intrapreso e alle persone meravigliose incontrate, sono una persona nuova, che ancora ha tanto da scoprire su di sé e il rapporto con gli altri, ma non ho più paura di affrontare la vita, con le sue insidie e l'infinita varietà di emozioni che può offrire ogni giorno. Ho un lavoro gratificante, amiche sincere e un nuovo amore con cui faccio progetti per il futuro.
Con la mia testimonianza ringrazio ancora le persone che mi hanno accompagnato fino a qui, anche se tante di loro ho la fortuna di viverle nel quotidiano.
A chi la legge invece, auguro che possa trovarci la speranza di pensare che tutti hanno diritto alla felicità e… la felicità è reale solo se viene condivisa!
Valentina

Un post condiviso da ChiaraSole Ciavatta (@chiarasolems) in data:


 

 

 


Riflessione ideale anoressico

ana dca ti divora da dentro

Si è portati a pensare che l’anoressia sia solo restrizione assoluta alimentare.
Così come si pensa che una persona ammalata di anoressia sia solo una persona di pochi chilogrammi.
A me sembra decisamente riduttivo!
E’ vero che molte persone arrivano a pesare pochi chili, ma quelle stesse persone quando hanno cominciato a variare la loro alimentazione pesavano diversamente e non erano forse comunque anoressiche?
Il vocabolario descrive l’anoressia mentale come sindrome nevrotica caratterizzata dal rifiuto sistematico del cibo e questa è l’idea comune delle persone, ma assolutamente riduttiva e incompleta del dramma che si vive.
L’anoressia è una forma mentis.
Quando io ero anoressica ho vissuto brevi periodi di digiuno. Ricordo le mie giornate profondamente ossessive. Ogni cosa aveva orari. Il mio ideale di perfezione era assolutamente surreale. A scuola dovevo avere tutti 11: un 9 era un fallimento.
I cibi erano accuratamente selezionati. Gli affetti dovevano essere controllati. Ogni cosa doveva essere sotto il mio controllo e se non lo era vivevo frustrazioni dolorose. Non sentivo la stanchezza grazie all’iperattività e ai nervi anoressici che mi tenevano su in una forma di euforia onnipotente.
Se qualcuno mi diceva che qualcosa non andava io non gli davo retta, io sapevo cosa dovevo fare.
Io ero anoressica in tutto, in tutte le sfere della vita.
Avevo grandi problemi relazionali con le compagne di scuola.

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