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"IO" nei disturbi alimentari

riflessione

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Io io io

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io

IO, IO IO a cura di Roberta Calvi

Nei disturbi alimentari tutto è occupato dalla malattia: non c’è spazio per altro….e per altri.

Esisto solo io, io e i miei sintomi, o meglio i miei sintomi e io come passivo esecutore della “ perversa volontà mortifera” della malattia.

L’altro è colui che può soddisfare il mio bisogno hic et nunc e che volta per volta assume il ruolo che mi fa comodo: il ricettacolo dei miei sfoghi, il competitor del confronto, la “preda” da sedurre, il risarcente di mancanze storiche.

L’altro è anche il perturbante che muove il mio desiderio e per questo scomodo, come scomodo è il mio desiderio perché sfugge: non è totalmente assimilabile alla logica sintomatica del controllo e del godimento tutto e subito.

Si vorrebbe annullare l’alterità dell’altro, quell’alterità che fa paura perché non è “gestibile”!

Si cerca illusoriamente di controllare l’altro come illusoriamente si cerca di controllare se stessi, le proprie emozioni, il proprio desiderio.

Far preoccupare l’altro, farlo angosciare risponde a quella logica del controllo/potere: potere sulle emozioni e sull’umore dell’altro. In quel momento si tiene legato l’altro, ma non c’è scambio, non c’è reciprocità, non c'è condivisione.

Non c’è spazio per l’altro: tutto è occupato dalla malattia, che rinchiude in una dimensione simil-autistica in cui non c’è una reale apertura all’altro.

L’altro come alterità non assimilabile a me, come unicità a se stante non appendice del mio io, non esiste.

Accogliere l’altro passa necessariamente da un percorso personale di cura che consenta di uscire da una posizione egocentrica in cui esisto solo io e tutto il mondo gira intorno a me.

Solo riconoscendo e accettando che l'altro non è in funzione di me posso costruire una relazione di reciprocità, condivisione, alleanza.

 

Riflessione ideale anoressico

ana dca ti divora da dentro

Si è portati a pensare che l’anoressia sia solo restrizione assoluta alimentare.
Così come si pensa che una persona ammalata di anoressia sia solo una persona di pochi chilogrammi.
A me sembra decisamente riduttivo!
E’ vero che molte persone arrivano a pesare pochi chili, ma quelle stesse persone quando hanno cominciato a variare la loro alimentazione pesavano diversamente e non erano forse comunque anoressiche?
Il vocabolario descrive l’anoressia mentale come sindrome nevrotica caratterizzata dal rifiuto sistematico del cibo e questa è l’idea comune delle persone, ma assolutamente riduttiva e incompleta del dramma che si vive.
L’anoressia è una forma mentis.
Quando io ero anoressica ho vissuto brevi periodi di digiuno. Ricordo le mie giornate profondamente ossessive. Ogni cosa aveva orari. Il mio ideale di perfezione era assolutamente surreale. A scuola dovevo avere tutti 11: un 9 era un fallimento.
I cibi erano accuratamente selezionati. Gli affetti dovevano essere controllati. Ogni cosa doveva essere sotto il mio controllo e se non lo era vivevo frustrazioni dolorose. Non sentivo la stanchezza grazie all’iperattività e ai nervi anoressici che mi tenevano su in una forma di euforia onnipotente.
Se qualcuno mi diceva che qualcosa non andava io non gli davo retta, io sapevo cosa dovevo fare.
Io ero anoressica in tutto, in tutte le sfere della vita.
Avevo grandi problemi relazionali con le compagne di scuola. CONTINUA >> 


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