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Giorgia

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Mi chiamo Giorgia, ho 37 anni. Se dovessi descrivere la mia vita con una metafora senza dubbio la paragonerei ad una lunga, lunghissima corsa… ANZI UNA FUGA… non solo perché la corsa è stata una costante e una compagna in tutti gli anni di malattia ma anche perché ho rincorso per anni “la vita perfetta”, fuggendo alla fine proprio da quella che, con i suoi pro ed i suoi contro, poteva esserlo veramente vista con gli occhi di una persona sana. Queste scarpe sono state le mie amiche-nemiche di una compulsione necessaria alla mia sopravvivenza di allora. Correvo, correvo sempre! E quando non potevo per qualche motivo, vivevo un senso di colpa indescrivibile. Ho compreso molto tempo dopo che cercavo di scappare dal mio dolore e lo facevo attraverso lo sport compulsivo e attraverso la restrizione alimentare: l’anoressia. Si trattava di una gara mortale costante con me stessa che ovviamente potevo solo perdere in quel modo.

Alla fine, però, ho vinto io e dico grazie alla malattia perché mi ha portata lontano e non per queste scarpe, ma perché a MondoSole ho lavorato e compreso la mia sofferenza durata per oltre 15 anni di sintomi devastanti durante i quali ho visto la morte in faccia e, da un’esperienza così dolorosa ho imparato a vivere!

GIORGIA:

E’ difficile per persone come noi ricordare qual è stata l’ultima volta che ci si è sentiti sereni, leggeri e in pace con noi stessi, difficile perché per una intera vita si è rincorso un ideale impossibile, inesistente, effimero.

Un ideale fatto dalle aspettative degli altri, dagli umori degli altri, dalle parole dette o non dette di mamma, babbo, amici…

Così ho vissuto una vita intera….

Sottostavo a chiunque mi chiedesse qualche cosa o mi facesse capire cosa si aspettava da me. Io che non sapevo dire di no, salvo poi lacerarmi per il dolore di non essere stata capace di esprimermi.

Io che non ero in grado di manifestare un’opinione, un pensiero, UN’EMOZIONE!

La costante paura di sbagliare, di tradire mio padre, di non essere all’altezza. IL SENSO DI INADEGUATEZZA!

Se dovessi descrivere la mia vita con una metafora senza dubbio la paragonerei ad una lunga, lunghissima corsa… UNA FUGA… non solo perché la corsa è stata una costante e una compagna in tutti gli anni di malattia ma anche perché ho rincorso per anni “la vita perfetta”, fuggendo alla fine proprio da quella che, con i suoi pro ed i suoi contro, poteva esserlo veramente vista con gli occhi di una persona sana.

Fin da piccola ho sempre avvertito la sensazione di essere diversa dai miei coetanei; ricordo nitida questa impressione. Forse ero io che inconsciamente già bramavo questa cosa. Ero solo all’asilo e già costringevo i miei genitori a portarmi a casa per pranzo per un totale rifiuto di mangiare ciò che mani sconosciute avevano preparato.

Gli unici alimenti che potevano entrare in me erano quelli preparati dalla mia mamma o dalla mia nonna materna. E anche quelli si contavano sulle dita di una mano.

Alla scuola elementare ho iniziato ad avvertire il senso del dovere, quel pesante stato d’animo che opprimeva ogni mia giornata e che mi faceva sentire in colpa per tutto!

Mi sentivo insicura, goffa e molto diversa dai miei coetanei e per ogni cosa, anche banale, nella mia testa partiva il confronto che puntualmente perdevo perché troppo duro era il mio giudizio su me stessa.

Finalmente avevo trovato un’amica e la mia vita mi era apparsa un po’ più bella. L’amicizia però per quanto mi rendesse felice, mi faceva stare anche male. Non potevo sopportare che la MIA AMICA, quella che condivideva con me i segreti, potesse avere relazioni anche con gli altri.

Per fortuna la mia amica condivideva con me tutto, anche la morbosità di quel rapporto.

Trasferitami in una nuova casa ed in un nuovo quartiere ho conosciuto un’altra bambina alla quale mi sono attaccata e sottomessa con ancora più forza. Passavamo insieme tutti i pomeriggi e ci piaceva tanto isolarci dalle altre bambine e condividere i segreti senza interferenze esterne! Ci piaceva l’ebbrezza di vederci di nascosto per dimostrare a tutte le altre quanto fossimo affiatate e furbe. In realtà il nostro isolamento ci ha portate a vivere insieme un’esperienza molto traumatica che oggi riconosco come una – forse la principale – causa scatenante della mia malattia. Io e la mia amica abbiamo ricevuto le attenzioni particolari di una persona adulta e siamo state così vittime di un abuso infantile. Non potrò mai dimenticare quello che abbiamo vissuto, è rimasto scolpito in maniera indelebile nella mia testa, anche se oggi, dopo tanto lavoro ho metabolizzato l’accaduto.

In realtà per tantissimi anni dopo quell’evento io ho cercato di scansare il pensiero e sono andata avanti nella consapevolezza di avere vissuto certe cose ma ignorandole completamente e facendo finta – ed illudendomi - che nulla fosse vero.

Quell’evento è stato il mio primo contatto con la sessualità. Io ero solo una bambina. Mi ha segnata per sempre.

Tutto è cambiato, da quel momento dentro di me ha cominciato a crescere UN MOSTRO, un qualcosa che solo oggi riesco a guardare negli occhi….

E’ difficile spiegare come possa essere successo ma da quel momento IO, VITTIMA, ho cominciato a seguire il MIO CARNEFICE e tutto ha cominciato a girare intorno a quello, senza che io ne avessi il benché minimo sospetto.

Il prematuro e traumatico incontro con la sessualità mi aveva convinta che quello fosse il giusto modo di approcciarsi all’altro sesso.

Un approccio di sottomissione, nei panni di bambina! Per gli anni successivi ho perpetrato non so mai quante volte quell’incontro, quella scena, quel film, quell’incubo! Non appena adolescente, ho iniziato a sentire forte la spinta dentro di me verso uomini sbagliati. Il mio obiettivo era conquistarli, fargli vedere che brava bambina sapevo essere e quanto fossi capace di DARGLI PIACERE e DIMAGRIRE! Ecco le uniche cose che sapevo fare…. sapevo dare piacere agli uomini, l’importante era che il mio corpo, così magro e così piccolo, rimanesse inviolato.

Poi però, nell’isolamento della mia camera, prima di addormentarmi, ricordo interminabili pianti. Mi accucciavo nel letto, mi addormentavo piangendo e pregavo perché potessi non risvegliarmi più! Ovviamente il risveglio c’era ed era traumatico: accorgersi di essere ancora lì, con davanti un’altra giornata di sofferenza mi distruggeva e allora, l’unico modo che avevo era quello di combattere i pensieri e il corpo. L’unico modo era tenersi occupati tutto il giorno, non fermarsi.

La mattina all’alba mi tuffavo in estenuanti corse e poi proseguivo con esercizi fisici di ogni genere.  Proseguivo con lo studio prima e con il lavoro poi; facevo incessantemente faccende domestiche perché ero perseguitata dal pensiero che la casa e i miei oggetti fossero sempre sporchi e quindi mi potessero contaminare; avevo una cura maniacale del mio corpo ed in particolare ero fissata con l’igiene dentale: mi lavavo i denti più e più volte al giorno, non appena ingerivo qualcosa correvo a lavarli e poi utilizzavo due o tre volte al giorno il filo interdentale e la notte molto spesso non dormivo perché ero convinta che i miei denti si stessero rovinando. Praticamente un’ossessione! E poi, ovviamente mantenevo un totale controllo sul cibo… Ricordo che non riuscivo a stare vicino alle altre persone e facevo di tutto perché queste non mi sfiorassero neanche. Se ero costretta a dare la mano o ad avere un contatto con un’altra persona poi correvo a lavarmi e disinfettavo tutto quello che mi stava vicino.

Per dieci lunghi anni sono stata fidanzata con un ragazzo senza accorgermi di quello che rappresentava per me: il suo carattere, così duro, rigido, prepotente e coercitivo era perfetto affinché io mi legassi morbosamente a lui e mi lasciassi sottomettere! Sento ancora palpabile la sofferenza di quegli anni e il godimento che inconsciamente provavo ogni volta che potevo dire che lui mi aveva trattata male! Ma nella mia mente sapevo qual era il modo per vendicarmi di quel male: continuavo a conquistare uomini con una serialità disarmante. Non importava chi fossero o per quanto sarebbero rimasti nella mia “vita parallela”, l’importante era che io potessi soddisfare i loro appetiti sessuali, senza coinvolgere il mio corpo bambino e potessi far vedere a loro la mia magrezza. Chissà, se ero fortunata mi avrebbero dato in cambio affetto, coccole o magari si sarebbero potuti preoccupare per me!

Ovviamente non ero cosciente di ciò che combinavo e non capivo minimamente che quei comportamenti andavano a braccetto con la mia malattia.

E’ stato negli anni dell’università che ho cominciato a sospettare che qualcosa non andasse, quanto meno da un punto di vista prettamente alimentare.

Vivevo a Bologna dove mi laceravo dal dolore per il distacco da casa e, allo stesso tempo, avevo iniziato una mortale gara con me stessa per perdere chili.

Le giornate erano scandite da una mela o uno yogurt e lo studio. Iniziava il mio isolamento vero.

Nessuno doveva starmi vicino, contemplavo solo i libri e la bilancia.

Terminato il periodo dell’università mi sono buttata a capofitto sulla pratica forense e a 26 anni ero già diventata un avvocato. avevo raggiunto un carico di dolore talmente grande che non sapevo più dove metterlo.

L’odio verso me stessa e verso il mio fidanzato era talmente forte che una sera, dopo essermi concessa una pizza, sono corsa in  bagno e ho vomitato tutto. Ricordo quella sensazione: ho pensato di essere diventata ancora più brava e di avere raggiunto una capacità di controllo ancora più grande perché potevo vomitare e quindi dimagrire ancora di più!

La mia amica, la malattia aveva stretto con me un legame ancora più forte!

Però forte io non mi sentivo, stavo cadendo sempre più in basso.

In quel marasma di dolore, sintomo alimentare e tristezza, non so spiegare come ho fatto, ma sono riuscita a lasciare il mio fidanzato, a spezzare quella catena infernale.

Un anno dopo, completamente anestetizzata dalla malattia, ho conosciuto il mio attuale compagno.

Ovviamente mi ci sono buttata con tutte le mie forze e mi ci sono legata a doppia mandata.

Lui però era fragile come me, insicuro e pieno di dolore. La nostra relazione era un continuo tira e molla.

Ricordo la prima volta che mi ha detto basta: eravamo insieme da poco ma quella decisione era stata capace di farmi perdere la testa. Il dolore che mi aveva provocato era stato talmente forte che lo sento ancora vivido dentro di me.

Dopo poco lui tornò, dandomi l’illusione che tutto sarebbe filato liscio. Ma così non fu e lui mi allontanò un’altra volta. Anche quella seconda volta fu devastante. Non riuscivo a smettere di piangere. Passai giornate intere a piangere, in maniera irrazionale, disperata, come una bambina.

Lui tornò ancora una volta.

Ci fu un terzo abbandono…lo ricordo….quel dolore, quella forte depressione, quel distacco da tutto e da tutti, quel fissare il vuoto…quella VOGLIA DI MORIRE.

Quella stessa voglia di morire, non so come, mi ha condotta a MONDOSOLE, il traguardo della mia folle corsa e la partenza verso la VITA.

Tante cose sono cambiate da quel buio lontano. Tante cose ho capito, qualcuna l’ho rielaborata, qualcuna persino metabolizzata. Ho analizzato, sviscerato e compreso anche il rapporto con i miei genitori e le dinamiche che da sempre si erano radicate all’interno della mia famiglia. Credo infatti che quelle stesse dinamiche siano comunque una concausa di tutto il dolore che ho vissuto. Ho compreso e capito mio padre e mia madre e ho imparato ad avere con loro un rapporto adulto.  Ho perdonato mia madre per la sua anaffettività e mio padre per essere stato così esageratamente opprimente. Soprattutto ho compreso che molte delle mie ossessioni derivavano proprio da loro. Entrambi avevano, ed hanno, un’ideale anoressizzato della donna. Entrambi, in modi diversi, mi hanno inculcato l’idea che le persone grasse siano meno degli altri, siano diverse e che solo le persone magre abbiano possibilità perché migliori, esteticamente più belle e capaci di stare in mezzo agli altri senza vergogna.

Nel mio percorso di cura ho trovato tante amiche, SORELLE! E ho scoperto che stare in compagnia e sentirsi bene è possibile. Ho scoperto che si può stare a tavola e non provare dolore.

Ho capito che per ricevere affetto non è necessario sottomettersi ma basta aprire il proprio cuore senza paura. Ho capito che se si vuole un abbraccio basta chiederlo e che le persone che abbiamo intorno vanno amate, a volte comprese ma mai allontanate.

Ho imparato a guardarmi dentro, a leggere le emozioni e a manifestarle. Ho scoperto che vivere è bellissimo.

Il percorso di cura che ho intrapreso non è un qualcosa di magico che cancella i problemi: la vita infatti è fatta anche di questo, di preoccupazioni, di dispiaceri, di periodi difficili ma al contempo di esperienze, belle o meno, che devono essere vissute appieno.

Oggi dico grazie alla malattia, mi guardo indietro e capisco quanta strada ho fatto. Trovo appagante scavare dentro di me e trovarmi, scoprirmi, conoscermi, costruirmi come donna e piacermi.

Dico grazie alla malattia perché mi ha portata lontano… da un fatto così doloroso ho imparato a vivere!

GRAZIE……..

 

8 Maggio 2012 - Settimana N.18 Giorgia, Sara e Stefania (MondoSole) sul settimanale TuStyle. Clicca per leggere
tustyle

foto scattata da Alfredo Bernasconi. postproduzione Claim.Lab

MONDOSOLE E':
- un Centro per l'anoressia e bulimia a Rimini, che svolge un servizio di cura, riabilitazione e reinserimento sociale delle persone con disturbi alimentari.
- una Associazione per la prevenzione, lo studio e la formazione sui disturbi alimentari (anoressia-bulimia), fondata da ChiaraSole Ciavatta e dal Dott. Matteo Mugnani.               CONTINUA

I disturbi alimentari sono patologie incredibilmente dolorose. Il sintomo evidente riguarda sempre il cibo e il corpo, ma è necessario ricordare che si tratta di un male molto profondo, per questo è importante andare oltre alla superficie sintomatica. I sintomi alimentari comunicano emozioni, dolore e sono la manifestazione di un disagio storico spesso incomprensibile per chi lo vive. I sintomi alimentari diventano, paradossalmente, una sorta di rifugio inconsapevole dalla realtà che ha fatto e fa male. Il corpo e il cibo come oggetti che ci si illude di poter controllare. Spesso si ritiene che l’unico problema di chi soffre di queste patologie sia proprio quello del corpo, ma ciò che trae in inganno è proprio il termine DIMAGRIRE. Sul corpo ogni persona materializza il dolore interiore e in questo modo cerca di “dimagrire” proprio di quel dolore che in quel momento non ha un nome.  CONTINUA



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